Aggiornamenti dalla protesta del CAS di Bussoleno

A poco più di una settimana dalla protesta che gli abitanti del CAS di Bussoleno hanno organizzato per rivendicare condizioni di vita degne all’interno della struttura gestita da Croce Rossa Italiana (CRI), visibilizzando per la prima volta agli occhi della popolazione locale i problemi strutturali del sistema accoglienza italiano e il suo razzismo intrinseco, l’agitazione continua. E la risposta repressiva di chi gestisce il centro in collaborazione diretta con la Prefettura non ha tardato a manifestarsi.

A metà della scorsa settimana, il responsabile della struttura Michele Belmondo si è visto recapitare una convocazione da parte dei residenti per discutere dei fatti e per rispondere alle richieste emerse. Invito che ha deciso di rifiutare perchè non accompagnato da una lista di nomi e cognomi di chi lo sottoscriveva.

Ben consapevoli delle possibili ritorsioni, qualora i nomi di singole persone venissero esposti alla controparte, e trattandosi di rivendicazioni collettive, condivise cioè da chi si trova a vivere una quotidianità fatta di ricatti, gli abitanti del centro hanno rifiutato di presentare una lista di firmatari ma hanno scritto e consegnato invece una lettera firmata “Immigrati residenti nel Polo Logistico” contenente i loro reclami.

Nel frattempo, CRI ha pubblicato su un giornale locale un comunicato in cui si ripulisce la faccia, tentando di smentire punto per punto le problematicità sollevate, dipingendo il centro come un luogo accogliente, con alloggi dignitosi, nonchè servizi di assistenza medica, legale e sociale e progetti volti all’inclusione delle persone.

Il tutto condito da una retorica di facciata con cui CRI tesse le lodi dell’umanitarismo e vorrebbe al tempo stesso celare una realtà fatta di gestione autoritaria, razzismo sistemico e mancanza di autonomia che chi vive all’interno del centro racconta in maniera lampante.

Tra i problemi materiali più evidenti fatti emergere dalla protesta c’è il sovraffollamento. Stando ai dati citati da CRI, i container abitativi ospitano da un minimo di 2 persone ad un massimo di 8 persone. Informazione già smentita dagli abitanti del centro, che in alcuni casi condividono spazi abitativi con fino a 12 posti letto in pochissimi metri quadrati.

CRI dichiara nell’articolo che sta già arginando al problema: visti i lavori di ristrutturazione finanziati dal PNRR che impegnano parte della struttura rendendola inagibile, dal primo gennaio 2025, è prevista una riduzione del numero degli ospiti (da 102 a 80, stando ai numeri ufficiali dichiarati). 

Contingenza fortunata per il responsabile del centro, che ha colto la palla al balzo per notificare con un messaggio whatsapp i primi trasferimenti verso altri centri dispersi tra le valli piemontesi proprio alle persone che hanno animato la protesta del 6 di Gennaio. I prime due a ricevere tale notizia sono stati non a caso coloro ai quali la Prefettura aveva già emesso un provvedimento disciplinale nei mesi scorsi motivato dal mancato rispetto del regolamento interno. Verrebbe da chiedersi chi saranno i prossimi a ricevere una comunicazione simile…

Sebbene molti dei centri di accoglienza presenti sul territorio piemontese presentino condizioni migliori di quello di Bussoleno come ad esempio un numero decisamente minore di ospiti, dunque qualche chance in più nell’inserimento lavorativo e magari la possibilità di ricevere un supporto nella preparazione dell’appuntamento presso la Commissione Territoriale – e non si tratta di briciole per chi vive all’interno del sistema accoglienza – questa decisione calata dall’alto lascia ben poca scelta alle persone. Per chi dovesse rifiutare il trasferimento e lasciare la struttura, magari perchè la nuova collocazione sarebbe troppo distante da dove sta costruendo un progetto di vita, o troppo lontana dalla città, in cui le possibilità di sopravvivenza sono maggiori – è sempre forte il ricatto: le persone sono infatti messe di fronte al rischio di ritiro automatico della propria richiesta di asilo in caso di allontanamento non motivato dal sistema accoglienza.

Ma soprattutto, è evidente come queste operazioni mascherino in realtà precise volontà repressive. Allontanando per primi i soggetti più insubordinati, Prefettura e Croce Rossa Italiana puntano a silenziare la protesta, ad attaccare e dividere chi lotta e si organizza minando la possibilità di costruire quei legami di complicità che mettono a repentaglio la stabilità di un sistema razzista di sfruttamento.

Solidarietà con chi lotta, contro tutti i volti della repressione