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Tasche piene

Mercoledì scorso, 13 aprile 2022, durante una banale interrogazione parlamentare di routine, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha sbandierato i risultati della cooperazione fra governo italiano e governo tunisino rispetto al numero di rimpatri effettuati nei primi mesi dell’anno: 850 i tunisini deportati.

A partire dall’estate del 2020, numerose riunioni e scambi diplomatici italo-tunisini hanno rinforzato la collaborazione tra questi due paesi con lo scopo di impedire le partenze, mettendo in opera un’attività di intercettazione delle imbarcazioni nelle acque territoriali tunisine e dei respingimenti delle stesse e aumentando i rimpatri dei cittadini tunisini dall’Italia verso la Tunisia. Il numero di rimpatri è cresciuto in modo rilevante negli ultimi cinque anni.

La Tunisia è la principale destinazione dei cittadini rimpatriati dall’Italia (più di 1.922 cittadini tunisini nel 2020 e 1.872 nel 2021), ed è anche la principale nazionalità delle persone recluse nei CPR.

Nel 2020, su un totale di 4.387 prigioner* nei Centri, 2.623 persone, di cui 13 donne e 2.610 uomini, erano di origine tunisina. Secondo i dati del Ministero dell’Interno italiano, nei primi sei mesi del 2021,circa 1.270 cittadini tunisini sono stati trasferiti nei CPR. Dal 1 gennaio al 15 novembre 2021, 2.465 tunisini sono transitati attraverso i CPR, cioè il 54,9% del totale (4.489).

In seguito al rinnovo degli accordi tra la Tunisia e l’Italia del 2021 la procedura di deportazione è stata notevolmente accelerata ed il rimpatrio può aver luogo pochi giorni dopo l’arrivo al centro. Il ritorno in Tunisia generalmente avviene attraverso voli charter diretti all’aeroporto internazionale Enfidha-Hammamet (dati estrapolati dallo Studio sui rimpatri in Tunisia).

Come pure accennato nel precedente articolo, il 9 e il 10 giugno si riunirà il Consiglio Europeo “Giustizia e Affari Interni” a Lussemburgo. Il Consiglio “Giustizia e affari interni”, che si riunisce ogni tre mesi, mira ad elaborare politiche comuni su vari aspetti transfrontalieri in termini di controllo, sicurezza e repressione. Il Consiglio “Giustizia e affari interni” (GAI) è composto dai ministri della giustizia e degli affari interni di tutti gli Stati membri dell’UE. I ministri della giustizia si occupano della collaborazione giudiziaria in materia civile e penale, mentre i ministri degli affari interni sono responsabili, tra l’altro, della migrazione, della gestione delle frontiere e della cooperazione di polizia.

In questa sede si presentano i dati delle attività svolte e si negoziano i termini, anche e soprattutto economici, delle azioni future. Quando si discuterà nel sostegno economico all’Italia del New EU Migration Pact certo sarà comodo sbandierare, come per ogni buon bilancio aziendale, dei numeri rassicuranti sull’impegno e sul ruolo svolto, in modo tale da giustificare nuove richieste e petizioni.

Il Patto europeo su migrazione e asilo è un documento programmatico pubblicato il 23 settembre 2020 con il quale la Commissione europea ha esposto le linee guida che orienteranno il lavoro in tema di migrazione nel prossimo quinquennio e, nello specifico, nel quale si cerca di promuovere un sistema comune dell’UE per i rimpatri.

A proprio dire, la Commissione fonda il Patto su tre princìpi:

1. Nuove procedure integrate per stabilire rapidamente lo status all’arrivo. Ciò prevede, tra le altre, il potenziamento della banca dati Eurodac tramite il rilevamento delle impronte digitali e la loro registrazione e un ruolo più incisivo della guardia di frontiera e costiera europea, FRONTEX, il cui impiego è implementato e attivo dal 1º gennaio 2021.

2. Un quadro interno comune “per la solidarietà e la condivisione della responsabilità”

3. Un cambiamento nell’approccio alla “cooperazione con i Paesi terzi”.

Se non può che saltare agli occhi il becero rovesciamento del significato di “solidarietà”, qui intesa come accessorio sbrilluccicante a braccetto del concetto di “responsabilità”, non si può non notare come questo secondo punto altro non è che il tentativo di bilanciare l’implicazione pratica obbligatoria e compartecipata dei vari paesi con lo spargimento di riconoscimenti politici e ricompense economiche. L’approccio alla “gestione migratoria” viene ora definito come “unitario”, che è il nuovo nome dato alle politiche di esternalizzazione dalla prospettiva eurocentrica. Infatti, rispetto al terzo punto, è superfluo commentare come i cosiddetti partenariati con paesi terzi siano strumentali al controllo delle partenze attraverso la sorveglianza, la repressione, i respingimenti e le detenzioni, non senza le adeguate compensazioni.

Non per nulla, senza giri di parole, a proposito del nuovo Patto europeo il vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, aveva dichiarato che l’obiettivo finale era quello di impedire agli stranieri di entrare sul territorio europeo attraverso accordi con i paesi extraeuropei di origine e di transito e con un investimento sull’agenzia per il controllo delle frontiere esterne.

A Lussemburgo faranno comodo quindi un po’ a tutti 850 miserie da mettere sul piatto della bilancia: costano poco, ma si trasmuteranno in un dato da cui trarranno profitto sia il governo tunisino, interlocutore privilegiato e, se non affidabile, quantomeno concreto per la Farnesina, sia l’Italia, che potrà sbandierare un numero in positivo per dimostrare il proprio impegno ed efficacia. Del resto, non sono proprio briciole quelle da spartire, fra i 9,88 miliardi di euro del Fondo Asilo, migrazione e integrazione e i 6,24 miliardi di euro del Fondo per la gestione integrata delle frontiere.