Quotidianamente gli atti di protesta scuotono i giorni e le notti all’interno dei CPR. Tra quelle mura, per evitare le deportazioni, opporsi alle provocazioni delle guardie, ma anche solo per chiedere la nomina dell’avvocato o un colloquio è necessario lottare. Lottare da soli, lottare in gruppo, contro un sistema strutturalmente violento e razzista, ogni giorno e con ogni mezzo a propria disposizione.
Una storia che si ripete da quando i CPR (prima CPT, poi CIE) sono stati istituiti nel 1998. Una storia che in alcune occasioni riesce ad inceppare la macchina delle espulsioni.
Lo sciopero della fame di Mohamed, recluso nel centro per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo, che grazie alla solidarietà e alla presenza dei e delle compagne triestine è uscito dalla coltre di silenzio a cui era stato rilegato da sbirri ed ente gestore – qui il comunicato sulle iniziative dello scorso fine settimana e sullo sciopero durato 26 giorni – è riuscito a bloccare la condanna alla deportazione e ottenere la libertà.
Infatti, nonostante il rischio di persecuzioni in caso di ritorno in Tunisia, per aver partecipato alle primavere arabe del 2011, la richiesta d’asilo di Mohamed era stata considerata “non fondata e strumentale ad evitare l’espulsione”.
Una condizione comune, quella dei richiedenti asilo all’interno dei CPR, che nei prossimi mesi con le nuove regole previste dal Decreto Cutro e la possibilità di procedure di espulsione accelerate e espletabili direttamente in frontiera aumenterà il numero di deportazioni dall’Italia verso i paesi di provenienza o anche verso Paesi terzi considerati “sicuri”, ma anche i tempi e i luoghi di detenzione amministrativa [qui un podcast di approfondimento su alcune modifiche al testo unico immigrazione].
A questa idea di sicurezza, che mira a clandestinizzare e utilizzare le persone migranti come merce di scambio per accordi economici ed energetici, scendendo a patti anche con regimi palesemente dittatoriali, si contrappongono le lotte dentro ai CPR e contro le frontiere.
Supportiamo queste lotte, rendiamole quanto più possibile visibili, portiamole in strada per dargli piu forza e poterne trarre da esse.
Per la libertà.
Per un mondo senza frontiere né galere.