DA BARRIERA A GAZA: SU COLONIALISMO D’INSEDIAMENTO, DETENZIONE AMMINISTRATIVA E RESISTENZE PALESTINESI

Pubblichiamo, con un “tantino” di ritardo, questi due approfondimenti andati in onda in due momenti diversi, ma in continuità fra loro, sulle libere frequenze di Radio Blackout.

Dal cuore di Barriera di Milano, in piazza Montanaro, si propagano le libere frequenze di Blackout per portare in strada la necessità di parlare di resistenza palestinese.

Lo facciamo con una compagna che, non solo per il suo retroterra culturale, segue da sempre la questione del genocidio attuato da Israele e le forme di contrattacco e vita a Gaza e nei territori occupati. Una storia di lungo corso, di cui il 7 ottobre rappresenta solo l’ultimo passaggio. Ci addentriamo con cautela in questioni complesse come il colonialismo d’insediamento, l’utilizzo dello spazio e dell’architettura come modalità di governo e repressione, la costruzione di un certo regime di discorso in Occidente che restituisce la questione palestinese come un’oscillazione tra terrorismo e umanitarismo.

Ciò che emerge chiaramente, e che rappresenta il punto osceno per i governanti occidentali, è la volontà di resistenza e ribellione che, dopo decenni lunghissimi di guerra senza limiti, anima i gazawi e i palestinesi tutti.

Un richiamo di libertà che fulgidamente comunica a tutti gli oppressi del mondo, che non si arrende, che cresce di generazione in generazione.

Ascolta qui il live:

In vista della riapertura del CPR di Corso Brunelleschi, in questa puntata di Harraga, in collegamento con la stessa compagna che, in piazza Montanaro, già ci aveva aiutato a scandagliare alcuni aspetti del modello-Israele, siamo entrati nel vivo della storia e della genealogia dell’utilizzo della detenzione amministrativa sui palestinesi.

La detenzione amministrativa israeliana nasce sotto l’insegna della regola dell’eccezione. Fu la legge di emergenza, che il mandato britannico impose nel ‘45, a porla in essere, per poi traslarla nel contesto legislativo coloniale e utilizzarla in maniera esponenziale dal ‘47 ad oggi, momento in cui, dopo il 7 ottobre, sono detenute oltre 3300 persone palestinesi a fronte di oltre 10.000 prigionieri politici richiusi fra galere amministrative e penali.

La regola dell’eccezione si affianca ad un altro elemento fondamentale di questa forma di dominazione sui corpi, quello dell’evidenza segreta. Attraverso la categorizzazione che, in questo caso, la colonialità sionista impone, i sequestri di persona in vista di detenzione amministrativa, proprio in quanto fondati sull’assenza totale di qualsivoglia “evidenza” di reato, vengono messi in campo dal governo per il solo ,e palese, fatto di essere palestinesi e quindi intrinsecamente ostili e potenzialmente combattivi contro un regime di oppressione totale sul proprio popolo. L’impossibilità di interazione e conoscenza, anche legale, delle motivazioni dell’imprigionamento evidenziano il tentativo, sebbene malcelato, di secretare una realtà manifesta. Una realtà che si applica attraverso la categorizzazione dell’individuo – con possibilità di ampliare lo spettro a seconda delle esigenze e dei definiti nemici pubblici delle nazioni -, la sperimentazione di forme brutali di controllo e restrizione totale e l’esportazione dei dispositivi, una volta testati e resi modello, al di fuori dei confini territoriali palestinesi definiti come prigione a cielo aperto.

Ma se parlare di detenzione nel contesto palestinese è parlare di un’esperienza totalizzante e permeate nella materialità del quotidiano, anche le resistenze messe in campo dai detenuti e dalle detenute è centrale nella lotta per la libertà dell’intero popolo. Sono tantissime le pratiche politiche di condivisione, di autodeterminazione che chi è reclusx porta avanti.

Ascolta qui la diretta: