CONTRO I CPR, CONTRO TUTTE LE FRONTIERE.

Ieri pomeriggio più di trecento persone si sono presentate sotto le mura del CPR di Torino.

Tantissime individui, collettivi e realtà che hanno voluto urlare la propria rabbia contro la prigione per senza documenti presente nella nostra città.

La tragica storia di Musa Balde è riuscita a scuotere le coscienze dei più e riportare l’attenzione sulla detenzione amministrativa e sul razzismo strutturale che viviamo.

Un presidio partecipato in cui si sono susseguiti interventi, grida e cori per provare a rompere l’isolamento imposto dallo Stato e l’invisibilizzazione che vivono quotidianamente i reclusi.

La polizia, da subito, si è schierata in assetto antisommossa all’interno del centro posizionandosi davanti alle aree per minacciare i ragazzi cercando di limitare ogni forma di comunicazione con l’esterno.

Per circa due ore complici e solidali hanno raccontato le testimonianze dei ragazzi dentro raccolte in questi giorni sostenendo con determinazione lo sciopero della fame che coraggiosamente stanno portando avanti da domenica mattina:

contro le condizioni cui sono costretti, contro la narrazione che stanno portando avanti media e istituzioni sulla morte del loro compagno.

Successivamente, una serie di interventi fatti davanti alle mura all’altezza delle celle d’isolamento (“Ospedaletto”) dove Musa è morto, hanno ricordato che nel 2019, nella stessa sezione, un altro ragazzo, Faisal, era morto da solo nel totale abbandono.

Subito dopo, al suono dei tamburi, si è formato un corteo che percorrendo le strade del quartiere San Paolo ha raccontato alle persone affacciate ai balconi o in fila davanti ai negozi che la morte di Musa non è stato un episodio isolato, una fatalità, ma è la NORMALITA’ all’interno dei CPR e in tutti i luoghi di frontiera dove ogni giorno muoiono centinaia di persone.

Il CPR UCCIDE. Non è solamente uno slogan.

In strada le persone hanno voluto gridare inoltre chi sono i responsabili della morte di un ragazzo di 23 anni.

Il CPR di Torino è gestito dalla multinazionale francese GEPSA, appartenente al gruppo ENGIE Energia, che da anni lucra sulla pelle dei detenuti in tutta Europa.

E’ GEPSA a gestire la consegna dei pasti che puntualmente vengono forniti maleodoranti, immangiabili e imbottiti di psicofarmaci.

E’ GEPSA a gestire il servizio sanitario pagando i medici che dovrebbero soccorrere i reclusi impedendo continuamente alle ambulanze del 118 di entrare nel CPR durante le emergenze.

E’ GEPSA che fa sparire le cartelle cliniche e che esercita ogni giorno pressioni sul personale che lavora all’interno del CPR con lo scopo di incrementare i profitti fornedo il servizio minimo.

E’ GEPSA IL RESPONSABILE DELLA MORTE DI MUSA.

Chi dovrebbe valutare se le condizioni di salute dei reclusi sono compatibili con la detenzione è l’ASL territoriale di via Monginevro e l’ASL Città di Torino di via San Secondo che sistemeticamente chiudono gli occhi sulla condizione di salute dei reclusi non intervendo mai.

Anche L’ASL E’ RESPONSABILE DELLA MORTE DI MUSA.

Il corteo di ieri è stato solo l’inizio di una mobilitazione contro la detenzione amministrativa.

I ragazzi dentro il CPR hanno bisogno di tutta la nostra forza e complicità, non possiamo lasciarli da soli nelle mani dello Stato.

Dopo il polverone mediatico sulla morte di Musa non facciamo cadere l’attenzione su ciò che accade quotidianamente dentro quelle mura.

Dobbiamo continuare a lottare contro questi luoghi infami, al fianco dei reclusi, cercando il più possibile di dare voce a chi non la ha.

Fino al giorno in cui di quelle mura non rimarrano che macerie e cenere.