Gli affari del Covid

Sono passati ormai due anni dall’inizio dell’emergenza legata alla diffusione del virus COVID-19 e le misure adottate nella gestione della pandemia, in Italia come altrove, hanno mostrato come gli unici obiettivi dello Stato siano sempre stati la salvaguardia dell’economia globale ed un controllo sempre più pervasivo.

Alcune delle dinamiche della società, in relazione alla crisi pandemica, si sono esacerbate, rendendo ancor più evidente la brutalità dei meccanismi di produzione funzionali al sistema capitalista. Certi corpi sono sacrificabili ai fini della produzione. Da un lato gli operai mandati al macello nelle fabbriche, mai chiuse nonostante la cessazione di ogni tipo di libertà se non quella produttiva, come successo nei primi mesi di pandemia. Dall’altro le persone migranti ingabbiate nelle maglie detentive, scomode in libertà, sono esse stesse merce e fonte di profitto atte ad alimentare un sistema razzista, un business di detenzione ed espulsione che non vuole essere fermato.

È lo stesso corpo di unə reclusə nel CPR ad essere infatti fonte di profitto poiché le aziende, che lucrano sulla gestione di quei centri, necessitano della presenza di un numero minimo di persone per dichiararsi produttive e alimentare i loro guadagni. Non a caso da Marzo 2020 dinanzi alla chiusura di alcune frontiere, l’ingranaggio detentivo non è mai stato disattivato mostrando palesemente il venire meno alla retorica della sua funzionalità ai soli fini espulsivi. Durante tutta la pandemia le persone senza documenti europei sono state portate nei centri nonostante l’impossibilità a rimpatriare. Per alcunə la reclusione è stata prolungata, per altrə, allo scadere dei termini legali della detenzione, sono stati emessi dei fogli di espulsione dal territorio.

Parallelamente i rimpatri forzati validano gli investimenti messi in campo negli accordi fra Stati per la sicurezza delle frontiere. Per esempio l’accordo Italia-Tunisia dell’estate 2020 prevede lo stanziamento da parte dell’Italia di 11 milioni di euro per il controllo delle coste e per il rimpatrio di 80 persone alla settimana. Questa visione dei corpi reclusi come merce di scambio all’interno degli flussi economici internazionali si è resa ancor più palese durante la pandemia. Di fatto durante le svariate ondate, vi è stato un totale e volontario disinteresse rispetto alla salute delle persone detenute e alla prevenzione dal contagio. Gli strumenti diagnostici, non usati al fine del contenimento dell’epidemia, sono stati utilizzati unicamente in modo coatto al fine di rimpatriare, garantendo il numero minimo di espulsioni necessario ad alimentare il business fra Stati.

Nel labirinto di decreti e regole con il quale la vita di tuttə noi è stata messa sotto scacco, la gestione punitiva della pandemia ha dettato le regole, decidendo chi ha diritto a libertà basilari come movimento e cure. Fuori dalle mura il disciplinamento attraverso il vaccino è il metro con il quale si scandisce l’accesso alla vita sociale, lavorativa e la possibilità di accedere a certi mezzi di trasporto. Mentre le persone recluse all’interno del CPR non possono scegliere se accedere o meno al vaccino, poiché esso non viene loro fornito. Questo perché la produttività di un corpo recluso, all’interno del sistema razzista e coloniale, è tale solo in quanto merce dunque non vi è nessuna utilità economica a vaccinare.

Le già orribili condizioni di vita nel CPR non fanno altro che peggiorare con la consueta assenza di terapie e prevenzione rispetto al contagio da Covid-19. Anche dal carcere di Torino, Lorusso e Cutugno, ci arrivano notizie sul crescere dei contagi, sull’assenza di strumenti di protezione individuale per i detenuti e sulla mancanza di cure per i malati. In entrambi i centri, così come in altri, la dinamica è sempre la stessa. L’evidente trascuratezza e negligenza con cui viene affrontata la questione pandemica, nonché della più generale salute dei reclusi, non è una semplice casualità. Essa è piuttosto una delle forme materiali che assume la violenza punitiva del sistemi detentivi. E mentre fuori qualcuno si arricchisce sulla pelle delle persone, dentro le condizioni di vita sono, come sempre, spaventose. Infatti ad oggi tutte i reclusi all’interno del CPR di Corso Brunelleschi sono in quarantena nelle uniche tre aree agibili e il garante regionale delle persone private della libertà personale Bruno Mellano ha impiegato tre anni a rendersi conto della totale mancanza di un presidio sanitario valido all’interno del centro, sotto gestione di GEPSA fino a Febbraio.

E’ recente la notizia che varie aziende stanno concorrendo per la gestione del CPR di Corso Brunelleschi. Non sarà un cambio gestione o una maggiore attenzione sulle cure sanitarie a rendere più umano un luogo del genere. Ma solamente la distruzione dei centri di detenzione amministrativa e l’abbattimento di ogni frontiera.

TUTTƎ LIBERƎ