Lettera dai detenuti liberi di Regina Coeli

Diamo diffusione, con il cuore pieno di rabbia e vicinanza, all’ultima lettera arrivata alla redazione di Radio Onda Rossa da parte dei detenuti liberi di Regina Coeli. Buona lettura:

Cara Radio Onda Rossa,

è un po’ che non vi scriviamo, ma sentiamo ogni giorno il vostro affetto nei saluti che ricordano frequentemente chi è privato/a della libertà personale. Ci teniamo a festeggiare con voi i 48 anni di attività e e lotte e saremo con voi il 23-24-25 Maggio col cuore.

Avremo tanto da raccontarvi e la situazione a Regina Coeli è peggiorata ancor di più negli ultimi mesi. Intanto, in barba alle tante promesse del ministro Nordio, la popolazione detenuta è salita a 1060, a fronte di 570 posti effettivi e di un’intera sezione chiusa dopo l’incendio di settembre 2024. Una enorme quantità di corpi ammassati in celle piccole, fatiscenti, tra ratti, insetti, cimici e pidocchi. Inoltre una circolare del DAP di 2 anni fa, rispolverata ad arte 3 mesi fa, ha imposto la chiusura di tutte le celle, sopprimendo la già insufficiente sorveglianza dinamica. Siamo tutti chiusi e viviamo giorno e notte schiacciati in queste celle. Possiamo solo scendere nell’ora d’aria in un lugubre cortiletto di cemento con alti muri su ogni lato. Molte delle attività che c’erano, sono state compromesse. Anche la scuola, servizio obbligatorio per l’Amministrazione Penitenziaria, ormai salta in diverse sezioni: oltre alla settima dove non è mai stata attivata, adesso anche in prima, seconda e quarta sezione l’aula scolastica è spesso occupata dai nuovi arrivi, detenuti gettati sui materassini di gommapiuma, a terra, senza doccia, senza acqua calda, senza una sedia per mangiare.
L’imperativo è chiudere tutti, per gestire un’emergenza ingestibile.
Solo tre giorni fa c’è stata l’ennesima rivolta (in terza) con battiture, incendi e lanci del vitto rancido. È l’esasperazione di chi, in questi buchi, sta perdendo la testa, di cui non riesce più a sopportare questa tortura.
Intanto Antigone ha denunciato sull’ultimo rapporto che l’uso di psicofarmaci a Regina Coeli ha raggiunto una cifra impressionante: l’88% dei detenuti (record nazionale). Per sopravvivere non hai alternative. Ti devi spegnere, non pensare, anestetizzarti per non soffrire. La sofferenza è ciò che meglio esprime il nostro sistema carcerario. Nulla di rieducativo. Nessuna prerogativa di sicurezza sociale. È lo Stato che si abbatte sulle vite con tutta la sua violenza, e infrange le stesse regole che dovrebbe far rispettare. E reprime qualsiasi iniziativa, fino a a colpire esperienze virtuose come il giornalino. Le scene alle quali assistiamo quotidianamente sembrano quelle di un girone dell’inferno: sono decine le persone che si tagliano, ingoiano lamette, compiono gesti disperati anche solo per avere una coperta, per essere visitati da un medico o poter sentire i propri cari.
Tutto il sistema si è adattato alle condizioni disumane e tende alla semplice sopravvivenza. Le attività trattamentali sono quasi scomparse, così come il lavoro esterno: solo due detenuti su 1060 hanno ottenuto l’articolo 21, la possibilità di un lavoro vero. Il lavoro intramurario è invece una schiavitù mascherata: contratti di 2-3 ore al giorno per almeno 8 lavorate (e non pagate) e se ti lamenti, perdi il posto.
Poche settimane fa il Tribunale di Roma ha condannato per la terza volta l’Amministrazione Penitenziaria per sfruttamento e mancata applicazione dei contratti collettivi, ma la cosa non sembra scalfire il sistema. Ora le ore in più sono dichiarate come “volontarie”. Il personale è insufficiente, si sa. Ma negli ultimi tempi qui ci sono state notti con 5 agenti per tutto il carcere. Dopo le 23 siamo abbandonati nelle sezioni e, se succede qualcosa, possiamo solo urlare e battere fino a che qualcuno sente. Mediamente ci vogliono 30-40 minuti. Tra tutte le storie vogliamo raccontarvi quella di Paolo, un signore di 62 anni, diabetico e cardiopatico. Quando è entrato non c’era posto, così è finito su una di quelle “terze brande” montate sopra il letto a castello. (Abbiamo misurato che è a 2,20 metri d’altezza). Pochi giorni dopo il suo arrivo Paolo ha avuto una crisi ipoglicemica in piena notte e verso le 5 di mattina è precipitato a peso morto dalla branda.

L’impatto è stato violento e Paolo non si muoveva. Abbiamo iniziato a urlare tutti, a battere. Non c’erano agenti. La sorveglianza è arrivata un’ora dopo, ma mancava il personale sanitario, così Paolo viene solo segnalato, coperto con una coperta di lana e lasciato lì a terra. Solo alle 8:30 è arrivato un medico che ha constatato la gravità e chiesto l’intervento dell’ambulanza (3 ore ½ mezza dopo la caduta!).
Alle 9:30 è arrivato il personale del 118 che ha immobilizzato Paolo e l’ha portato via. In ospedale vengono diagnosticate la frattura del bacino, la frattura di due vertebre e vari traumi. Da oltre un mese Paolo è immobilizzato a Regina Coeli, presso il centro clinico.
È solo un esempio di ciò che capita quotidianamente. Una mattanza che si unisce ai casi di autolesionismo e ai suicidi che ormai sembrano non fare più notizia.
Tra questi vogliamo ricordare Emanuele, un ragazzo di soli 19 anni suicidatosi poche settimane fa dopo aver ottenuto il trasferimento in comunità. Era un ragazzo fragile, soffriva, ma chi doveva e poteva aiutarlo non ha mosso un dito, nonostante i tanti segnali che tutti avevamo davanti. Emanuele è oggi un numero in un elenco, una statistica. Perché chi è in carcere diventa invisibile, perfino quando muore.
Come se tutto questo non bastasse, il carcere sta diventando un contenitore sociale nel quale sperimentare la brutalità delle politiche liberticide e repressive, vanto di questo governo.
Solo negli ultimi giorni sono arrivate circa 30 denunce per rivolte e proteste, sparando nel mucchio. Si rischiano pene molto alte per fatti che, fino a poco tempo fa, avrebbero prodotto al massimo un rapporto disciplinare. A questo si aggiungono le espulsioni sommarie. Vengono a prendere persone che hanno già scontato la pena, prossime alla liberazione. Come Ismael, un ragazzo senegalese di 27 anni che era in Italia da quando aveva 12 anni. Aveva i fratelli qui, era inserito, lavorava e aveva una casa. Aveva scontato la sua pena ma mercoledì, a pochi giorni dalla sua liberazione, lo hanno prelevato e caricato su un volo per Dakar con un foglio d’espulsione. Un trofeo in più per Piantedosi da postare sui social.
Per quanto un pezzo di sinistra si sforzi ancora per pensare ad un carcere più umano e cerchi di convincersi della necessità di avere luoghi di detenzione, noi crediamo che l’unico carcere buono sia quello che non esiste. Dobbiamo tornare ad investire sull’utopia di una società senza gabbie, immaginando un nuovo Basaglia per le galere.

Perché nessun errore, nessun danno può trovare soluzione nella cattività, nell’umiliazione, nell’abbrutimento dell’essere umano. In carcere si muore e basta. Muore il bello che c’è in noi. Muore la voglia di vivere. Muoiono le relazioni. Muore il nostro presente e il nostro futuro. Muoiono i nostri corpi.
Per questo vi chiediamo aiuto. Aiutateci a far aprire gli occhi a chi è fuori. A rendere trasparenti questi muri.
Non vogliamo spegnerci qui dentro!

Grazie ancora per la vostra vicinanza e buona lotta!

(Seguono diverse firme di detenuti)

Detenuti liberi Regina Coeli