All’interno del Cpr di corso Brunelleschi continua ad essere proibito l’utilizzo dei telefoni personali.
Un divieto che dura oramai da due mesi e non esiste nelle carte, ma le cui motivazioni sono chiare: raggiungere un isolamento totale eliminando ogni forma di solidarietà e permettendo che ogni episodio di violenza subito dalle persone rinchiuse nel CPR venga nascosto.
Vogliamo condividere una testimonianza di un ragazzo marocchino che con rabbia e coraggio ha voluto rompere questo infame silenzio raccontandoci la sua storia e la quotidianità, costretto a sopravvivere all’interno di una gabbia. Martedì mattina è stato prelevato dalla sezione punitiva dell’ospedaletto dove era rinchiuso da settimane e caricato su di un volo di linea per il Marocco. Nei giorni precedenti il suo avvocato, collaborando con le guardie e i gestori del centro, l’aveva rassicurato riguardo la sua situazione, garantendogli che il suo rimpatrio era stato bloccato e che non si doveva preoccupare di nulla. La solita frase buona per sopire gli animi e farsi dare ancora qualche soldo. La deportazione è però arrivata e durante il viaggio verso l’aeroporto di Malpensa ha cercato di resistere come poteva alla deportazione, ma il suo tentativo è stato fermato con violenza dalle forze dell’ordine sul nascere.
Una volta scortato verso l’aereo ha provato ancora a fare casino, ma ci ha raccontato che la sua voce è stata sedata con un’iniezione al collo e che si è risvegliato quando si trovava già in volo.
Fuori occorre trovare i modi per sostenere i reclusi, nonostante la mancanza di telefoni e di informazioni su quanto accade dentro e per distruggere insieme quella gabbia.
FUOCO AI CPR