Il 15 maggio si è tenuto in Svizzera il referendum sul finanziamento di Frontex.
Senza sorprese, è stato confermato che la Confederazione svizzera parteciperà al progetto di potenziamento di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera che controlla e gestisce i flussi migratori dello spazio Schengen. Tale rafforzamento prevede che il contributo finanziario elvetico passi da 24 milioni a 61 milioni di franchi entro il 2027. Oltre all’incremento della partecipazione economica, è previsto anche un aumento del personale messo a disposizione dalla Svizzera: entro il 2027, il numero di agenti salirà dall’attuale media di circa sei posti a tempo pieno a un massimo di circa 40 posti.
Il referendum era stato lanciato da alcune organizzazioni di tutela dei migranti. Ma i sondaggi avevano rilevato da subito che la maggioranza dell’elettorato socialista e verde era favorevole al rafforzamento di Frontex. Varie ONG non hanno preso posizione rispetto al referendum: Amnesty International e l’OSAR (Organizzazione svizzera per l’aiuto ai rifugiati) hanno lasciato libertà di voto.
Più che sul sostegno a Frontex, nel dibattito pubblico è stata posta una questione di principio, ossia l’adesione a Schengen, e la lotta alla criminalità e all’immigrazione illegale sono state due questioni centrali. Si è sventolato lo spauracchio della reintroduzione dei controlli alla frontiera e dell’interruzione della cooperazione europea tra le polizie dei singoli Stati.
Un certo peso lo ha avuto anche la guerra in Ucraina. La situazione ha compattato le fila filo-europee ed è stato paventato come un rifiuto svizzero a Frontex potesse essere visto come un affronto a Bruxelles.
La strategia elettorale ha teso a sviare l’attenzione dall’Agenzia europea, coinvolta in un’inchiesta sui respingimenti che recentemente ha portato alle dimissioni del direttore (leggi anche Senza Macchia e Senza Paura. Sulle dimissioni del direttore di Frontex). Inoltre, l’accoglienza dei profughi e delle profughe di nazionalità ucraina ha voluto riconfermare l’immagine di un Paese con una politica d’asilo umana e generosa.
Da tempo si è a conoscenza dei respingimenti assassini alla frontiera Schengen operati dall’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex e delle responsabilità della Commissione Europea, che da un lato, laddove possibile, esternalizza e invisibilizza le frontiere, legandosi a doppio filo con partenariati con paesi terzi, dall’altro investe ed implementa le risorse umane e materiali necessarie per il pattugliamento, la militarizzazione e la carcerazione diretta sul territorio (leggi anche Ristretti Orizzonti. Su Horizon Europe, Nestor e il controllo dei confini).
Non stupisce l’ipocrisia di chi parla di “opportunità”, dalla posizione di partecipante diretto al progetto Frontex, di sorvegliarne gli operati o della “chance” delle dimissioni di Leggeri per riformare l’agenzia dal suo interno. Per giustificare le proprie prese di posizione, a favore della propria privilegiata “libertà di movimento”, del proprio precario benessere economico e dell’artificioso senso di sicurezza dato dalla repressione si doveva pur ammantare l’egoismo capitalista con i colori dei diritti umani.
In tempi di guerra come questi, durante i quali gli Stati ricorrono agli armamenti più devastanti e tradizionali, alla propaganda bellicista più becera e altisonante e potenziano e si trincerano dietro alleanze militariste, diviene imperativo tentare di fare chiarezza e far cadere le maschere. Nessun referendum, nessun cambio di gestione e nessun appello ai diritti umani cambierà la realtà delle frontiere erette a difesa delle diseguaglianze e dell’esclusione.